Sarebbe una proteina presente sulla superficie delle cellule nervose cerebrali la responsabile dei disturbi cognitivi che caratterizzano la fase iniziale della malattia di Alzheimer (520 mila persone colpite in Italia). Lo sostengono, in uno studio pubblicato dalla rivista The Journal of Neuroscience, esperti del CNR di Pisa, dell’ Università dell’Aquila, della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, del European Brain Research Institute (EBRI) di Roma e della Columbia University di New York, impegnati in una ricerca sostenuta, per la parte italiana, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, che fin dall’inizio ha creduto nella validità scientifica del progetto fornendo i fondi necessari per il suo avvio e la sua realizzazione.La forma sporadica della malattia di Alzheimer è una patologia degenerativa dell’età avanzata che comporta una progressiva riduzione delle funzioni mentali quali l’apprendimento e la memoria fino alla demenza che rende i pazienti gravemente non-autosufficenti con notevoli costi economici sia per la famiglia che per la società. La malattia di Alzheimer era ritenuta fino a pochi anni fa una malattia incurabile, i cui meccanismi patogenetici erano scarsamente noti e di difficile diagnosi soprattutto durante una fase precoce. Si pensava, infatti, che il progressivo deterioramento delle capacità mentali dipendesse dalla produzione in elevate quantità di una proteina denominata sostanza beta – amiloide che in forma aggregata determina le placche senili, uno dei segni patognomonici della malattia. Recentemente si è appreso che la formazione di placche senili rappresenta una fase avanzata della malattia di Alzheimer mentre i disturbi cognitivi che interessano l’apprendimento e la memoria sono presenti già nelle fasi iniziali della malattia stessa.Grazie a questo studio condotto presso il laboratorio di Neuroscienze del CNR di Pisa dal Dr. Nicola Origlia e dal Prof. Luciano Domenici (Professore di Fisiologia alla Facoltà di Medicina dell’Aquila), sappiamo che aree cerebrali coinvolte nell’apprendimento e nella memoria, quali la corteccia entorinale, sono sensibili alla proteina beta – amiloide ancor prima che si formino le placche, ovvero ad uno stadio molto precoce della malattia. Una proteina chiamata RAGE, ovvero un recettore presente sulla membrana delle cellule nervose, induce alterazioni nervose fino ai disturbi dell’apprendimento e della memoria dopo aver legato la proteina beta amiloide anche durante la fase iniziale di accumulo. La scoperta apre la strada per una diagnosi precoce e per lo sviluppo di farmaci atti ad arrestare o quanto meno rallentare il decorso della malattia. Test sperimentali mirati a individuare il recettore RAGE – continua Domenici – sono in fase d’ allestimento e consentiranno, in un prossimo futuro, se confermati nella loro efficacia, d’ impostare un filone di ricerca farmacologica verso l’individuazione di molecole in grado di inibire il legame di beta – amiloide al recettore stesso.
Il prossimo obbiettivo dei ricercatori sarà, quindi, quello di verificare in ambito clinico i risultati ottenuti in laboratorio. Per raggiungere questo primo obiettivo sono già in corso collaborazioni tra cui quella con la Sezione di Neurologia dell’Università di Pisa (Dipartimento di Neuroscienze) di cui è responsabile il Prof. Luigi Murri.